Il coronavirus e la “morte” della fotografia?

Il blog è fermo da tanto, troppo tempo, causa coronavirus.
Più di una volta sono tornata nella bacheca con l’intento di scrivere qualcosa, ma cosa?
Il coronavirus ci ha chiusi tutti in casa, limitando spostamenti, contatti, incontri, viaggi.
Non solo l’aspetto materiale (lavoro, soldi, organizzazione, vacanze) ne ha risentito ma anche quello spirituale.
Le nostre passioni – quello che più ci definisce e ci rende vivi – sono state messe in pausa.
E la fotografia è quello che mi fa andare avanti e superare ogni difficoltà.

Il coronavirus e la "morte" della fotografia?

Credetemi, è molto difficile per chi – come me – vive grazie ad essa.
Mi sento menomata, mancante, amputata.
Come se una parte di me fosse stata estirpata con forza, e non potessi più riaverla indietro.

A volte mi sembra quasi di non riuscire a respirare, imprigionata in una gabbia fatta di pensieri, preoccupazioni e mura che si stringono attorno a me.

Provo uno sconforto indescrivibile a frugare tra i miei hard disk e rivedere le vecchie foto che raccontano di passeggiate spensierate sulle colline, gite nei borghi toscani che amo tanto, avventure e scoperte entusiasmanti.
Sembrano raccontare storie di un’altra vita che ormai non mi appartiene più, eppure quella vita accadeva soltanto un anno or sono, marzo 2020, prima dell’avvento del coronavirus.
Ed è anche questo il motivo per cui ho messo in pausa il blog.
Non per mancanza di materiale (ne avrei per 10 vite) ma per la mancanza di coraggio nel fare ordine tra foto che feriscono l’anima.

Il coronavirus e la "morte" della fotografia?

Nell’ultimo anno, le poche volte che sono riuscita a fare una passeggiata vicino a casa con la macchina fotografica in mano, mi guardavo intorno spaesata, alla disperata ricerca di un soggetto interessante, qualcosa da ritrarre, qualcosa che attirasse la mia attenzione o accendesse un briciolo di ispirazione, ormai dispersa in un susseguirsi di giornate anonime.
Un qualcosa che fosse meritevole di essere ritratto.
O semplicemente qualcosa di molto strano.

Il coronavirus e la "morte" della fotografia?

Magari qualcosa di molto bello, o perchè no, molto brutto.
A volte la differenza tra le due cose è sottilissima e sta negli occhi di chi guarda.

Il coronavirus e la "morte" della fotografia?

D’altra parte cos’è la fotografia senza un soggetto?
Niente.
Non esiste.
Chiedete ad un bravo paesaggista come è possibile fare una buona foto quando non ci si può allontanare più di 200 metri da casa sua?
A meno di non vivere in un rifugio sulla cima delle Dolomiti, la vedo molto dura.
Sono davvero curiosa di sapere cosa vi risponderebbe.

Il coronavirus e la "morte" della fotografia?

A volte il soggetto è tutto, perchè anche nella scelta del soggetto il fotografo si esprime, comunica dei concetti, o il suo modo di vedere.
Certo la fotografia non è solo soggetto.
E’ anche la visione del fotografo, ma le due cose lavorano in sinergia affinchè una foto nasca e funzioni.
Una fotografia è una combinazione di idea e soggetto, filtrati attraverso l’occhio del fotografo.
E senza un soggetto interessante agli occhi di chi scatta, questo non può avvenire.

Ma come trovare un soggetto interessante vicino casa?
Un grande dilemma, un problema difficilissimo da risolvere.
Credo che questa domanda abbia assillato molti fotografi in questo ultimo anno di coronavirus.
Viaggi negati, uscire di casa il più delle volte impossibile.

Il coronavirus e la "morte" della fotografia?

Molti fotografi si sono dedicati alla fotografia in studio, altri invece ne hanno improvvisato uno in casa, con oggetti di fortuna, e si sono dedicati allo studio di generi fotografici a cui probabilmente – se il covid non fosse sopraggiunto – non si sarebbero mai avvicinati.
Macro, still life, food photography, toy photography.
Da questo punto di vista il covid può essere visto come un’occasione di studio e apprendimento.

Io però sono una persona poco paziente per natura.
Non mi piace armeggiare con set e cavalletti, la fotografia da studio è ciò che c’è più di lontano dal mio modo di fotografare.
Che è sempre a mano libera, una specie di danza attorno al soggetto, allo scopo di studiarlo e trovare l’inquadratura migliore attraverso il movimento.
Ho bisogno di libertà, di potermi spostare, e il cavalletto limita questo mio approccio.

Il coronavirus e la "morte" della fotografia?

Però alla fine, devo ammettere di essere stata fortunata, seppur vivendo in contesto urbano, c’è un grandissimo parco naturale che circonda la mia città.
Ed è la che ogni tanto vado a sfogare la mia frustrazione fotografica, quando raggiunge livelli umanamente insopportabili.

Non sono una fotografa naturalista.
Non faccio macro.
Non fotografo animali nel loro habitat naturale.
Il parco non è – tra tutti gli scenari disponibili – quello che prediligerei se fossi libera di scegliere.

Il coronavirus e la "morte" della fotografia?

Ma di necessità virtù.
Ho dovuto adattarmi, e fare dell’ambiente che avevo a disposizione il mio set.
L’unico in cui potevo muovermi liberamente e fotografare.
L’unico posto in cui potevo sentirmi di nuovo completa.

La fotografia forse non è ancora morta.
Ma di certo – nel 2021, in piena pandemia globale – non gode di buona salute.

Il coronavirus e la "morte" della fotografia?

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